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giovedì 3 ottobre 2013

LA STORIA NON SI CELEBRA, SI STUDIA - di Gianfredo Ruggiero (EXCALIBUR)


Per motivi anagrafici non ho conosciuto il Fascismo e anch’io, come la maggior parte degli italiani,  sono cresciuto a pane e resistenza avendo appreso la storia sui libri di testo. Solo che non mi sono accontentato della verità ufficiale, quella scritta dei vincitori, il risultato è stato che man mano approfondivo le mie conoscenze i dubbi aumentavano. Dubbi che a tutt’oggi nessuno è stato in grado di sciogliermi.
Il primo dubbio riguarda la definizione dei partigiani quali ”patrioti e combattenti per la libertà”. Il movimento partigiano era egemonizzato dal Pci, all’epoca diretta emanazione della Russia Sovietica da cui prendeva ordine tramite Togliatti, stretto collaboratore di Stalin che infatti viveva in Russia, il loro obiettivo era quello di instaurare a guerra finita una società di tipo comunista satellite dell'URSS.
I partigiani rossi hanno sì lottato contro un regime, quello fascista, ma al solo scopo di sostituirlo con uno sicuramente peggiore. Non si capisce quindi su quale base logica i partigiani si possano definire “patrioti” e combattenti per la libertà” se la maggior parte di essi voleva instaurare in Italia una dittatura spietata e per giunta sottomessa ad una potenza straniera.
Se l’Italia è ora una Repubblica "democratica" (sul concetto di democrazia torneremo) non è certo per merito dei partigiani, ma in virtù della divisione del mondo in due blocchi contrapposti decretata a Yalta nel ’45, da cui scaturì la nostra collocazione nel campo occidentale e la conseguente dipendenza americana.
Lo stesso discorso riguarda la Russia sovietica che contribuì alla sconfitta della Germania nazista per estendere il suo dominio su tutto l’est europeo e non certo per portarvi democrazia e libertà. Non dimentichiamoci poi che la Russia fu alleata della Germania fino al ’41 (patto Rippentrov-Molotov) e che con Hitler si spartì la Polonia due anni prima. Senza contare l’invasione sovietica della  Finlandia che avvenne con l’assenso di Hitler e nella totale indifferenza delle democrazie occidentali.
Il secondo dubbio riguarda la definizione di “guerra di Liberazione", quando invece fu una classica guerra civile.  I fascisti non venivano da Marte, erano italiani come italiani erano i partigiani (vi furono famiglie divise e fratelli che combattevano su fronti opposti). Inoltre i tedeschi non invasero l’Italia, c’erano già. Dopo la caduta di Mussolini, avvenuta il 25 luglio 1943, il governo Badoglio chiese aiuto dell’alleato tedesco per contrastare gli anglo americani che nel frattempo erano sbarcati in Sicilia. I soldati italiani e tedeschi si ritrovarono quindi a combattere spalla a spalla contro l’invasore americano fino all’8 settembre ’43, quando il Re e Badoglio con estrema disinvoltura passarono dalla parte del nemico.
Il contributo dei partigiani alla sconfitta tedesca fu, inoltre, del tutto marginale se lo rapportiamo all’enorme potenziale bellico messo in campo dagli alleati. Le fila partigiane s’ingrossavano man mano che l’esercito tedesco si ritirava sotto l’incalzare degli angloamericani. Gli stessi americani avevano una scarsa considerazione dei partigiani e li tolleravano solo perché facevano per loro il lavoro sporco come assassinare i gerarchi fascisti o i comandati tedeschi.
Il 25 aprile del ‘45 Mussolini era a Milano e solo dopo la sua partenza per trovare la morte a Dongo il capoluogo lombardo fu “liberato” dai partigiani che si abbandonarono ad una vera e propria orgia di sangue contro i fascisti o presunti tali, compresi i loro familiari, ben descritta dai libri di Gianpaolo Pansa, Giorgio Pisanò e Lodovico Ellena.
Il terzo dubbio riguarda la modalità di lotta dei partigiani. Mentre i fascisti combattevano a volto scoperto e in divisa, inquadrati nelle divisioni dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana o nelle varie milizie volontarie, i partigiani invece, pur potendo anch’essi vestire una divisa - essendo armati e finanziati dagli americani - e pur potendo combattere a fianco dell’esercito alleato o nel Regio esercito del Sud secondo le regole di guerra, preferirono il passamontagna, i soprannomi e la tecnica del mordi e fuggi a base di attentati e omicidi alle spalle. Tecnica sicuramente meno rischiosa per loro, ma devastante negli effetti. Il fine era infatti quello di scatenare la reazione tedesca e creare i presupposti per quella guerra civile, poi eufemisticamente definita di “liberazione”, che li avrebbe portati a sedersi al tavolo dei vincitori.
Sono dubbi su cui mi piacerebbe si sviluppasse un dibattito, sereno e senza reticenze, finalizzato a capire la storia e non solo a celebrarla come purtroppo avviene da sessant’anni, anche se comprendo benissimo che agli ex comunisti l’antifascismo è l’unica cosa di sinistra che gli rimane.

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